Eliana e Giuseppe: «Ora il tempo è di nuovo nostro»

articolo condiviso

Eliana e Giuseppe hanno lasciato un lavoro frenetico, che toglieva loro il tempo per vivere e hanno scelto un'altra strada. E sono felici. Cambiare è possibile, non pensiate che sia "cosa" per pochi.


"Molte persone pensano che abbiamo scelto una strada facile, o che siamo scappati, o che stiamo facendo la bella vita, girando il mondo con lo zaino, come fossimo due ragazzini. Eppure, quando io mi guardo indietro e penso alla vita che abbiamo lasciato alle nostre spalle, è proprio quella vita ad apparirmi facile". Eliana Virtuoso, 34 anni, e Giuseppe Giangreco, 44, conosciuti come Nina e Giuse, più di un anno fa hanno deciso di lasciare tutto, casa, lavoro, affetti, per cominciare a girare il mondo con uno zaino in spalla alla ricerca di un nuovo modo di essere e di vivere che conducesse alla felicità.
Nina lavorava da sei anni come segretaria di un centro commerciale a Moncalieri, Torino, quando nell'ottobre 2012 ricevette una promozione a direttrice di un nuovo centro commerciale ad Ancona, cosa che la portò al settimo cielo per la prospettiva di rimettersi in gioco in una nuova sfida.
Giuse, invece, era da circa 20 anni un rivenditore di complementi di arredo per uffici e grande distribuzione in una piccola azienda di proprietà. Purtroppo, con l'arrivo della crisi, l'azienda ha cominciato a faticare portando a guadagni sempre più bassi a fronte di ore di lavoro in continuo aumento.
"A Torino, la nostra vita si barcamenava fra infinite ore di lavoro e tentativi di prenderci cura di noi stessi e della nostra felicità con i nostri banalissimi guadagni: due o tre settimane all'anno di viaggio zaino in spalla in luoghi lontani nei periodi di bassissima stagione, cene a casa con gli amici e una casa in affitto nelle campagne del pinerolese per spendere il meno possibile. Sopravvivevamo, ecco. Ma il tempo pareva sfuggirci dalle mani. Gli anni passavano, e la nostra vita scorreva uguale giorno dopo giorno, con la sensazione che non stessimo facendo niente di significativo che ci appartenesse veramente. Qualcosa in cui credere, qualcosa da costruire, da realizzare. Il trasferimento ad Ancona ci apparve come un modo per tentare una sorta di nuovo inizio: ci saremmo avvicinati al mare, con una nuova avventura professionale e magari nuove opportunità, in una zona dell'Italia dove forse avremmo potuto godere di una vita meno frenetica e avere più tempo per noi".
Ma le cose non fecero altro che peggiorare. Dopo un anno, Nina aveva quasi raddoppiato le sue ore lavorative, oltre allo stress provocato dalla forte crisi economica generalizzata. Nonostante vivessero in affitto in una casa bellissima, con vista mare e montagne, non avevano mai abbastanza tempo per godersela e tornò a presentarsi ancora più forte quella sgradevole sensazione di vita che scorre dalle mani senza un vero scopo. E così arrivò quel 9 giugno 2014.
Nina racconta: "Ero reduce dai festeggiamenti per il primo anno di apertura di questo nuovo centro commerciale. Quello che avrebbe dovuto essere per me, per noi, un piccolo traguardo, un passo in avanti, a me appariva come una totale disfatta: qual era il senso di questa vita, di questo trasferimento, di questo spendere il nostro tempo preziosissimo dietro ad un lavoro che non restituiva mai felicità, soddisfazione, benessere, inteso non in senso economico, ma nel suo senso più letterale di stare bene? Insomma, dove stavamo andando? Stavamo vivendo davvero la nostra vita? Eravamo proprio sicuri che lì, fuori dalla quella zona di comfort che ci eravamo costruiti conformemente agli standard proposti dalla nostra società, non ci fossero altre opportunità, altri modi di vivere questa vita, e un altro "noi" in attesa di essere scoperto? Non ce la facevo più a rimanere con il dubbio, a criticare ogni mio singolo giorno senza fare assolutamente niente, a rimandare sempre al domani un'eventuale ricerca di un'alternativa".
Quel giorno Nina tornò a casa dal lavoro e chiese a Giuseppe: "Perché non molliamo tutto e ce ne andiamo in giro per il mondo?".
E così, nel giro di sette mesi, lasciarono i rispettivi lavori, disdissero il contratto di affitto, vendettero le auto e i mobili, e il 31 marzo 2015 partirono per il Sudamerica, con i soldi delle loro liquidazioni, uno zaino e tanta voglia di scoprire.

"Ci siamo dati al Couchsurfing in Argentina (metodo per viaggiare a costo zero sfruttando l'ospitalità di persone che aprono le porte della propria casa -ndr), abbiamo girato gli Stati Uniti in tenda e sacco a pelo, attraversato una parte del Sudamerica solo con i mezzi pubblici, barattando un piatto di pasta o una pizza fatta da noi con infinite storie di vita e racconti di viaggio preziosissimi. A settembre poi ci siamo spostati in Oriente, partendo dalla Cina e, dopo qualche giorno in India e senza che fosse particolarmente previsto, ci siamo spostati in Nepal insieme a Jay Nepal, un'associazione di volontariato nepalese che sta prestando soccorso nella zona a seguito del devastante terremoto del 25 aprile 2015. Quella che doveva essere una cosa di un paio di settimane è diventata un'esperienza di tre mesi".
In Nepal Giuse ha prestato assistenza sulla parte logistica e di manodopera, dal cucinare per i volontari fino alla demolizione e ricostruzione; Nina ha messo a disposizione i suoi anni di esperienza come marketing manager e la sua passione per la fotografia per raccontare le attività di supporto e le drammatiche necessità di un Nepal in ginocchio, dimenticato dai media e dalla memoria.
"A fine gennaio 2016 siamo ripartiti, spostandoci verso l'Oceania, dove siamo rimasti tre mesi grazie a Workaway, un servizio che ci ha dato la possibilità di barattare vitto e alloggio in cambio di qualche ora di lavoro volontario fra fattorie, bed and breakfast, famiglie e mercati. Attualmente ci troviamo a Kuala Lumpur in Malesia, ma a breve ritorneremo in Nepal".
Nina e Giuse, come hanno preso le vostre famiglie e i vostri amici questo progetto e che cosa ne pensano tutt'ora?
"Le nostre famiglie ci hanno lasciato andare, un gesto d'amore  e di comprensione che ancora oggi riteniamo senza pari. Molti nostri amici e conoscenti, però, sono letteralmente spariti. Qualcuno si è sentito giudicato dal fatto che noi non abbiamo scelto di vivere una vita fatta di figli e mutuo, come se disprezzassimo questo modo di vivere. Sinceramente non ci siamo mai permessi di criticare coloro i quali possono affermare di essere davvero felici con quel tipo di vita: sono semplicemente scelte. C'è chi è nato per essere genitore e chi esploratore; c'è chi trova la felicità in una casa e chi in uno zaino. Forse il mondo ha preso una brutta piega perché questa proporzione fra esploratori e "stanziali" è saltata, e ci siamo tutti un po' seduti nel nostro presente, chi lo sa.
Quello che è certo è che finché non impareremo a rispettare la libertà individuale di poter essere ciò che meglio ci rappresenta, questo mondo non uscirà mai dalla profonda crisi umana in cui troviamo ora. Fino a quando continueremo a criticare i diversi da noi, non ci sposteremo mai da ciò che siamo, e non ci sarà più alcuna evoluzione."
Che cosa avete scoperto in questo anno e mezzo di viaggi in giro per il mondo?
"Il Nepal e Workaway sono state finora le due esperienze più illuminanti e formative; abbiamo imparato sulla nostra pelle che c'è un valore più grande del denaro e dei risultati aziendali per determinare se il nostro lavoro sia produttivo o meno: si chiama felicità. Non solo la nostra, intendo: felicità globale. Arrivare alla fine della tua giornata e scoprire che hai contribuito, in qualche modo, a rendere migliore la vita di qualcun altro, che sia esso una famiglia nepalese a cui il terremoto ha distrutto la casa, o una signora australiana che fatica nel prendersi cura della propria famiglia fra lavoro e spese, significa essere produttivi. E non importa quante ore tu abbia lavorato, non importa se la schiena fa male, se in Tasmania a giugno si muore di freddo, se è pieno di insetti e tu ne hai una paura terribile o se devi dormire per due settimane in una tenda in un villaggio nel distretto nepalese di Sindhupalchowk, senza una doccia o un gabinetto: improvvisamente ti accorgi che essere felici non significa avere una vita semplice, dove hai i soldi certo, ma sacrifichi gli anni migliori della tua vita dietro ad un lavoro che tanto non potrà mai restituirti quanto ti ha tolto; felicità significa rendere la tua vita armonica con te stesso e con il mondo intero, essere utili agli altri, non per denaro, ma per amore. Non solo. Abbiamo scoperto di essere in grado di vivere con molto meno, e molto meglio. Meno vestiti, meno oggetti, meno bisogni. Più tempo per cucinarci cibo sano e buono, più tempo per imparare a fare nuove cose, o fare le cose di sempre in un modo diverso. E questo stile di vita ci sta richiedendo anche molti meno soldi, nonostante gli aerei, i visti, gli spostamenti. Ad oggi, dopo più di anno, la nostra liquidazione continua ad essere la nostra unica fonte di sostentamento, ma il baratto ci ha aiutato tantissimo ad abbattere i costi e ad entrare in profondo contatto con le persone del posto, osservarle, vivere il loro quotidiano e provare ad essere uno di loro. Continuiamo la nostra ricerca della nostra strada e di un modo per sostenerci quando i nostri soldi non basteranno più. E se non dovesse funzionare? Ce lo chiedono in tanti.... A volte ce lo chiediamo anche noi stessi. Pazienza, si ricomincerà da zero. Anche le storie d'amore spesso non funzionano. Eppure noi esseri umani continuiamo ad amare e cercare la nostra metà!".

Commenti